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Siamo tutti simili, e abbiamo problemi simili

La maggior parte delle persone pensano di essere diversi dagli altri. Di avere qualità speciali, o problemi non comuni, od anche di valere meno degli altri. In alcuni studi il 90% dei guidatori pensa di guidare meglio degli altri (!). Per non parlare dei genitori, sempre pronti a credere (quando non a pretendere) che i loro figli siano migliori della media.

Siamo meno speciali di quanto crediamo

Ma, nella maggior parte dei casi, la verità è che rientriamo nella media. Benché ognuno sia effettivamente unico, assomigliamo comunque alla gran parte degli altri esseri umani. Questo risulta difficile da accettare, perché nell'essere umano sembra esserci un potente bisogno di distinguersi. Un pressante desiderio di sentirsi "speciali".
Al limite, anche in negativo: non pochi preferiscono considerarsi pessimi in qualcosa, piuttosto di sentirsi "uno qualunque". Essere speciale "in negativo" appare comunque meglio di far parte della massa (pensiamo a chi afferma con enfasi "Sono un disastro!", "Mi vanno sempre tutte storte!"...).

“Abbiamo un potente bisogno
di sentirci speciali,
anche in modo negativo”

Mentire a se stessi

Questa illusione è favorita dall'enorme facilità con cui ci auto-inganniamo. Ognuno crede di considerare oggettivamente la realtà, invece tendiamo spesso ad esagerare (in una direzione o nell'altra); basta guardarsi intorno: quante persone sentite dire "Oh, io sono così in gamba..." oppure "Ah, sono la persona più sfortunata del mondo..."? Prima o poi, non è capitato a tutti?
E... cosa state pensando ora? Scommetto che molti di voi hanno proprio pensato: "E' vero, gli altri lo fanno... ma non io!". Bang, colpito e affondato. ;-)
Non prendetevela: è così facile, frequente e terribilmente umano.

Quando ero adolescente, ero terribilmente timido e complessato; e credevo di essere l'unico così malridotto. Voglio dire che gli altri, guardandoli da fuori, mi sembravano tutti più capaci e sereni di me (perché le persone tendono a nascondere le proprie debolezze).
E' stato solo crescendo e conoscendo realmente le persone, che ho scoperto come i miei problemi fossero molto comuni. Se l'avessi scoperto prima, mi sarei sentito sollevato ("Non sono il peggio che c'è") e avrei temuto meno il giudizio ("Se tanti altri sono come me, non è così grave").

I problemi d'amore sono sempre gli stessi

Osserviamo questo fenomeno particolarmente nell'ambito relazionale (forse perché l'intensità emotiva che lo accompagna, ci rende ancora meno obiettivi del solito).
Molti pensano di essere i più timidi, i più brutti, i più grassi, i meno attraenti, i più complessati, quelli col pene più corto o quelle col seno più piccolo, i più sensibili o i meno capaci di esprimere i propri sentimenti...
Oppure altri si sentono tanto "speciali" eppure - chissà perché - l'altro sesso non sembra accorgersene...
Ma se osserviamo queste persone dall'esterno, vediamo facilmente che i loro problemi si assomigliano tutti (e fanno quasi tutti capo, fondamentalmente, a difficoltà di valutazione, autostima e comunicazione).

Ignorare le "ricette" per la felicità

Daniel Gilbert (professore di psicologia ad Harvard) compie studi sulla felicità. Nel suo libro "Stumbling on happiness" ("Felici si diventa", info nella Bibliografia), ha notato che le persone non seguono le indicazioni fornite dalle ricerche su come essere più felici; ha scoperto che il motivo è perché quelle persone pensano di non rientrare nel campione, di essere "diverse". Eppure, osserva Gilbert, le varie persone non sono quasi mai eccezionali; per quanto riguarda ciò che ci rende felici, gli umani si assomigliano molto.

Come scrive Penelope Trunk nel suo blog, questo vale anche nel campo lavorativo. Ci sono numerose risorse e indicazioni per raggiungere una buona soddisfazione lavorativa, ma le persone li ignorano, per lo stesso motivo: "Ma il mio caso è particolare...".

“Le persone
non sono quasi mai
eccezionali”

Le illusioni portano guai

Ma cosa c'entra tutto questo con la felicità? C'entra eccome.
Oltre al fatto che il rapporto che abbiamo con la realtà influenza come viviamo, una distorta percezione di noi stessi può generare diversi problemi:
  • Se credo di essere meglio della media, avrò delle aspettative irreali e tenderò a fallire; e invece di riconoscere il motivo nei miei limiti (e potere quindi migliorare me stesso), tenderò a dare la colpa all'esterno (per non incrinare la mia convinzione).
  • Se penso che i miei problemi siano straordinari, sarò pessimista riguardo possibili soluzioni, e tenderò a non provarci nemmeno.
  • Se credo che il mio problema sia estremo, sarà difficile parlarne con qualcuno ("Sono un tale disastro, cosa penseranno di me?").
  • Se ho una immagine di me distorta, non ascolterò i pareri ragionevoli di chi mi vede come realmente sono ("Sono un disastro, ed è inutile che mi dici il contrario!").
Ma se l'illusione di sentirsi "superiori" è comprensibile, perché alcuni invece si attaccano così tenacemente all'idea di essere "inferiori"? Come per tutte le azioni, lo si fa perché fornisce un qualche "vantaggio":
  • Può essere un modo per scaricare la responsabilità ("Non ci posso fare nulla, sono così sfortunato / limitato / brutto...")
  • Può diventare un alibi per non cambiare
  • Può essere un mezzo per attribuire al mondo la colpa della propria infelicità ("Se le persone fossero meno superficiali, mi apprezzerebbero anche se sono...")

"Normali"... e felici

E' vero, abbandonare la convinzione di essere "speciali" e diversi dalla maggioranza può essere difficile e anche deludente: se abbiamo una convinzione positiva, è doloroso "scendere dal piedistallo"; se è negativa, è inquietante lasciar cadere le scuse che ci proteggevano.
Ma riconoscere che siamo meno "speciali" di quanto crediamo, e più simili agli altri, ci può fornire diversi vantaggi preziosi:
  • Una autovalutazione realistica e un buon contatto con la realtà, sono necessari per agire correttamente e in modo proficuo.
  • Riconoscere di essere simile agli altri, e di fare quindi parte della grande comunità umana, aiuta nel non sentirsi separato, isolato ed escluso (essere "speciali" vuol dire anche essere soli).
  • Se comprendo che non sono l'unico ad avere un certo problema, posso più facilmente chiedere aiuto e trovare risorse utili per risolverlo.
Inoltre, fingere consuma molte energie. Quando smettiamo la "recita" dell'essere speciali, possiamo finalmente abbandonare la tensione che comporta il mentire continuamente (in primo luogo a noi stessi), e la paura di essere scoperti. Ci rilassiamo e abbiamo molta più energia a disposizione.

“Riconoscere di essere
simile agli altri
aiuta a sentirsi meno solo”

Siamo simili, ma anche unici

Un'ultima osservazione: non sto parlando di appiattimento od omogeneità.
Come ho scritto sopra, so bene che ognuno è unico; che ciascuno ha talenti propri e caratteristiche peculiari, e sono il primo ad incoraggiare a svilupparli. Credo che il vero "essere speciali" accada quando abbiamo finalmente chiarito la nostra identità, il nostro io più autentico (al di là di tutte le maschere e le regole sociali) e - magari - scoperto il nostro dharma, destino o vocazione.
Ma questo non nega che - in fondo - ci assomigliamo molto. Quel che ci accomuna ai nostri "fratelli" umani è più di quel che ci distingue. Tra le tante contraddizioni dell'essere umano vi è quella per cui ognuno è, al tempo stesso, unico e simile a tutti gli altri.
Ed è proprio il riconoscere questa comunanza e somiglianza, che ci aiuta ad uscire dalla solitudine e isolamento che affliggono le moltitudini: il fatto che le altre persone ci assomigliano li rende nostri fratelli...
e conferma che veramente "Nessun uomo è un'isola" (John Donne).


"Ricorda sempre che sei unico. Proprio come tutti gli altri."
(Margaret Mead)


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